lunedì 27 febbraio 2012

FINANZA vs. ECONOMIA REALE- di Guido Grossi

Titoli e derivati -  contro - lavoro e produzione di beni reali e servizi.

Libertà dei mercati è libertà di crescita. I mercati finanziari fanno crescere l’economia reale. Competizione è crescita. Flessibilità è crescita. Crescita è benessere. PIL è benessere.

Questo abbiamo creduto, fiduciosi.

Oggi, finalmente, la società civile sta cominciando a nutrire dubbi sulla validità di queste affermazioni, anche se in maniera ancora molto lenta e saltuaria.

E’ innegabile che quel “credo” quasi religioso si sia conquistato uno spazio importante  nell’inconscio collettivo. Ripetuto tutti i giorni dell’anno dalle “autorità” e da una certa “scienza” in campo economico e politico. Un credo mai spiegato, a volte contro intuitivo, mai dimostrato da una analisi documentata. Avallato, però, dalla facile illusione di un benessere diffuso, sempre amplificato dalla rappresentazione mediatica della realtà che ci ritroviamo, inconsciamente, a sovrapporre alla vita reale.

La crisi economica del 2008/2009 è ritornata alla ribalta con tutta la sua crudeltà odierna. Con essa, crollano le fondamenta di quelle affermazioni. Emerge, lentamente, una realtà ben più dura.

Comincia a delinearsi una differenza fondamentale fra mercati finanziari e mercati reali. Fra la finanza speculativa e l’economia produttiva.


C’è il mondo della Finanza: Titoli e Derivati. Un titolo è uno strumento che nel momento in cui nasce apporta capitali alle aziende (o agli stati). Ma ha una sua vita successiva sui mercati secondari, sui quali viene negoziato infinite volte, con il suo valore che sale e scende continuamente.

Ricchezza di carta, che si gonfia e sgonfia fra una bolla speculativa e l’altra, seguendo logiche che sono comprensibili da pochi addetti ai lavori.

I mercati finanziari vengono gestiti di fatto direttamente o indirettamente da un nucleo molto ristretto di grossissimi player internazionali, le banche d’affari. Nucleo di soggetti assolutamente privati, il cui controllo è qualificato da un ampio uso della partecipazione incrociata. La cui azione è caratterizzata da un enorme conflitto di interessi fra le attività di negoziazione, collocamento, consulenza e assistenza ai clienti. Predisposizione e vendita di strumenti derivati talmente complessi, che neppure chi li ha inventati è in grado di capirne completamente il profilo di rischio ed il valore del prezzo, senza ricorrere a strumenti informatici potenti, costosi, difficilmente controllabili e comprensibili da qualsiasi esterno.

Il valore di titoli e derivati dovrebbe rappresentare il valore reale della produzione sottostante, ma ne risulta sempre più slegato. Le formule di valutazione si illudono di ricorrere alla “certezza della matematica” ma vengono sempre più facilmente piegate ad una logica ben più stringente. Il valore risponde in maniera proporzionale esclusivamente ai flussi di capitale che affluiscono, copiosi, su quei mercati, secondo la più banale ed intuibile delle leggi dell’economia classica: l’aumento della domanda fa salire il prezzo indipendentemente dal suo valore intrinseco. E vice versa.


Questa è la verità più profonda e basilare alla quale sono giunto dopo aver digerito montagne di testi e articoli economici fra i più disparati: nulla ha un oggettivo valore intrinseco; il prezzo di un bene è sempre e solo l’incontro di domanda ed offerta. 

Se sono solo di fronte al venditore del bene che voglio acquistare, il prezzo che pagherò dipende dalla profondità delle mie tasche, dalla valutazione assolutamente soggettiva che, in quel preciso momento, attribuisco a quel bene e, molto, dalla abilità del venditore. La soggettività delle moltitudini, non può garantire nessuna oggettività.

Fuori dalla finanza c’è il mondo, diverso, della produzione reale, dove attraverso l’organizzazione del lavoro e l’impiego del capitale si producono beni reali o servizi. Ci vivono le persone.

Sono realtà alternative che si contendono - secondo la logica aut aut - l’uso dei capitali di tutto il mondo. Più si gonfiano le bolle speculative, meno risorse si rendono disponibili per l’economia reale e per il lavoro.

Il sistema bancario - che è lo strumento principale per l’allocazione dei capitali - viene plasmato a livello internazionale con logiche simili utilizzate in tutte le principali economie occidentali.

Principi, norme e regolamenti che disciplinano il sistema vengono elaborati principalmente dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (la BIS di Basilea, la banca centrale delle banche centrali), avallati dalle banche centrali, recepiti nelle normative comunitarie ed infine nazionali.

In base a queste normative le banche incontrano un limite serio all’espansione delle loro operazioni nella disponibilità di capitale. Capitale di richio che serve a far fronte alle perdite potenziali. Ogni operazione “assorbe” un pezzettino del capitale della banca. Quando il capitale è tutto assorbito, non si possono fare ulteriori operazioni, fino a quando non ne scade qualcuna.Questo è il motivo per cui le banche sono costantemente assetate di capitale che, fra l’altro, aumenta attraverso gli utili e diminuisce in conseguenza delle perdite.

Prestare 100 euro ad un cliente, assorbe x. Comprare 100 euro di un titolo emesso dallo stesso cliente assorbe molto meno: una frazione di x. Comprare un derivato che equivale a prestare 100 euro o acquistare un titolo di 100 euro sempre legato allo stesso cliente, vale una frazione ancora più bassa. Il risultato economico prodotto dalle tre diverse operazioni, però, è potenzialmente eguale e teoricamente sempre collegato al comportamento dello stesso cliente.

E’ evidente che se posso conseguire un risultato economico con una operazione che richiede un possesso di capitale di rischio inferiore, la preferirò senza alcun dubbio.

Trovare capitale di rischio, per le banche è estremamente più costoso e difficile che non trovare depositi e liquidità. Basti pensare a cosa succede al valore delle azioni di una banca quando annuncia l’intenzione di lanciare un aumento di capitale.Gli stessi regolamenti sul sistema bancario che favoriscono le operazioni finanziarie, stanno rendendo sempre più costoso, invece, prestare denaro alle aziende ed alle famiglie: queste operazioni assorbono percentuali di capitale sempre più elevato.

Tutti hanno sentito parlare delle polemiche suscitate da “Basilea II”, le regole che rendono costoso per le banche prestare i fondi alle piccole e medie aziende. E’ in arrivo Basilea III.

I regolamenti internazionali sul capitale delle banche favoriscono decisamente la scelta di allocare risorse verso la finanza, anziché verso l’economia reale.

Le banche possono essere più o meno simpatiche. Oggi diciamo che riscuotono un livello decrescente di consenso. Monta, insieme alla rabbia generata dalla crisi, una avversione sempre più manifesta.

Fare di tutt’erba un fascio, però, e additare le banche quali responsabili della crisi, è sbagliato ed illusorio. Pensare di risolvere il problema nazionalizzando le banche, è altrettanto illusorio.

Sono le leggi che spingono le banche a seguire scelte sempre più obbligate, a rappresentare il vero problema.

Quelle leggi che plasmano il sistema e indirizzano le scelte devono essere cambiate.

Sono i soggetti che “credono” ciecamente nel valore delle frasi indicate in apertura, il problema. Sono stati insediati, tramite un lento ed inesorabile processo di selezione basato sul metodo della cooptazione, ai vertici di tutte le istituzioni che contano nella formazione dei principi e dei regolamenti che poi disciplinano il sistema bancario e finanziario. Sono gli artefici del disegno al quale i meccanismi rispondono, in maniera oramai quasi automatica.Stessi soggetti che sempre più frequentemente ritroviamo anche nei vertici della politica, sempre e sicuramente nelle posizioni dove vengono prese le decisioni che attengono l’economia. A livello nazionale e, ancor più, sopra nazionale.

Quei soggetti, devono essere cambiati.

Altro aspetto fondamentale del quadro è da vedere nella gestione professionale del risparmio e nei prodotti strutturati. Altri potenti meccanismi di allocazione.

L’invenzione e la diffusione degli “Investitori Istituzionali” rappresenta un potente strumento per attrarre e gestire flussi di risparmio in maniera sempre più diretta sui mercati finanziari.

Il soggetto che deposita i suoi risparmi nel libretto bancario o nel conto corrente è sempre più raro. Chi ha soldi viene intercettato e consigliato dagli esperti addetti alle relazioni con i clienti verso la gestione professionale, in varie forme che investiranno quei soldi sui mercati finanziari. Sgr, asset manager, Hedge fund, fondi pensione.. Forme diverse che hanno la stessa funzione: investire sui mercati finanziari il risparmio di altri soggetti.

Il cliente non ha ben chiaro l’aspetto fondamentale del discorso: il rischio di mercato è tutto suo: se il gestore è bravo e se i mercati salgono il cliente guadagna. Se il gestore non è bravo e se i mercati scendono il cliente perde. La “professionalità” non garantisce nulla.. Eppure riscuote una fiducia immeritata enorme, questa “professionalità”, insieme, naturalmente, alle commissioni di gestione. Quelle, non soggette ad alcun rischio: certe come il sorgere del sole.

I prodotti strutturati sono prodotti d’investimento oppure di debito che includono dentro o accanto ad un titolo o un mutuo, uno strumento derivato. Quando un cliente acquista uno di questi prodotti non sa che una parte dei soldi vengono dirottati automaticamente sui mercati finanziari, a copertura dello strumento derivato associato.

Nella maggior parte dei casi questi strumenti derivati sono di una complicazione enorme. Richiedono non solo una competenza tecnica assai rara, ma la disponibilità di sistemi di calcolo complessi, costosi. Visti bene e da vicino: astrusi. La complessità si associa a (o asseconda?) la assoluta impossibilità per il cliente di valutare con precisione ma anche con approssimazione l’entità del rischio assunto. Ancora di più: impossibilità di valutare la congruità del prezzo.

Una indagine accurata delle registrazioni contabili nelle banche (e perfino delle poste!!) che negoziano questi strumenti farebbe emergere un indebito guadagno, ottenuto con artifici e raggiri a danno di clienti ignari.

Però, han fatto firmare una serie di documenti dai quali risulta l’idoneità del cliente a negoziare quegli strumenti. E i fogli informativi dai quali risultano, almeno parzialmente, le formule che gli addetti alle vendite non hanno nessuna possibilità di spiegare, perché non hanno nessuna possibilità di capire. Ma noi firmiamo.

Sempre in nome della trasparenza, ci mandano a casa montagne di carta per avvisarci che il tasso del conto corrente è sceso dallo 0,0125% a 0,00625%.. Ma non ci dicono che ci hanno sottratto dal 5% al 10% netto del nostro capitale, nel momento stesso della negoziazione di quegli strumenti!

Non dicono, se si tratta di un mutuo, che se la rata è insolitamente bassa all’inizio, è solo per l’elevata probabilità (quasi certezza) che sarà molto più alta fra qualche mese o anno.

La faccenda brutta dei mutui subprime nasce da li. Quando il caso è scoppiato lo stato (USA) non ha trovato di meglio che salvare le banche colpevoli, iniettando oltre 700 miliardi di dollari nelle banche che hanno iniziato ad accusare le perdite, legate al fallimento delle famiglie che non hanno potuto pagare le rate diventate insostenibili. Mentre le famiglie hanno perso la casa... 
Ma siccome quegli interventi non erano sufficienti, ( avevano proprio esagerato ),  le banche americane o, meglio, le grandi banche d’affari internazionali che controllano i mercati finanziari e tutto il mondo dei derivati, hanno pensato bene di impacchettare le posizioni di rischio dentro altri titoli tossici, e li hanno venduti alle banche commerciali di mezzo mondo. Titoli, si badi bene, che ottengono un rating, spesso tripla A.

Banche commerciali - fra cui quelle greche - che non avevano nessuna possibilità di capire e valutare i rischi che stavano assumendo. Né tanto meno il prezzo, almeno fino al giorno in cui hanno provato a vendere quei titoli..Non sarà ora di porre rimedio a tutto ciò?Il modo perseguito dai signori che governano le scelte economiche negli stati e negli organismi sopra nazionali, è il seguente:

far intervenire per una parte le banche centrali a garantire fondi illimitati a basso costo al sistema bancario privato, per evitare che le perdite  lo facciano collassare. Sono riusciti a convincere pure la restia BCE.

D’altro lato, scaricare lentamente l’onere sui bilanci degli stati, chiamati sempre più ad un rigore tanto più stridente quanto paragonato all’assoluto lassismo con cui vengono trattate le banche. Banche d’affari in primis.

Mettete sul piatto, per finire, stipendi e bonus milionari di questi banchieri e, a questo punto, capirete il perché della prossima rivoluzione.

Ora, chiunque abbia a cuore la tenuta democratica delle nostre società.. che di “civile” hanno ormai sempre meno, non pensa forse che una Tobin tax o qualche timido regolamento siano soluzioni quasi ridicole, confrontate al problema.. E non si riescono a fare..?

E’ ora di rimedi drastici. E’ ora di rivedere profondamente, a livello nazionale ma anche comunitario, funzioni e struttura del sistema bancario, deve essere sottoposto a controllo democratico. Ora di separare la finanza dal credito commerciale. Di vietare i derivati tossici (punendo i colpevoli), di disciplinare  e limitare l’uso degli altri strumenti derivati. E’ ora di rallentare il ritmo della speculazione sui mercati finanziari, divenuto ossessivo.

Dopo la Grande Depressione del 1929, causata dagli eccessi della finanza, la società civile ha preteso di mettere una ferrea briglia alla finanza, separando nettamente i soggetti bancari che si occupano di depositi e prestiti da quelli che si occupano di finanza (titoli e derivati). E imponendo vincoli stringenti alla libertà di azione sui mercati finanziari. Il Glass-Steagall Act del 1933 fece questo.

Lentamente, però, con una decisa accelerazione avvenuta a fine anni 90, la commistione si è ripresentata, fino a divenire completa e mai così forte come ai giorni nostri.

Osservate un grafico di un qualsiasi valore quotato sui mercati finanziari. C’è una impennata a partire da metà degli anni 90. Salgono i valori, con una progressione ed una violenza che non ha nulla a che vedere con la produzione di ricchezza reale.
Le successive enormi oscillazioni verificatesi a partire da fine millennio, e che si ripetono ormai incessantemente fino ai giorni nostri, sono le conseguenze di quella follia.

Follia, peraltro, che corrisponde a logiche di una lucidità tanto cinica quanto efficiente.

Chi ha definito le regole, ha plasmato il sistema di allocazione delle risorse, ha predisposto, organizzato e gestito i mercati finanziari e gli strumenti per elevare a potenza gli investimenti su quei mercati, sa esattamente come trarre vantaggio da quelle oscillazioni. E’ una tigre, ed i rischi ci sono. Ma i domatori sono esperti.

Incredibilmente, quella commistione  fra credito e finanza fa si che le esigenze dei mercati finanziari continuino oggi ad essere il driver principale delle scelte politiche. In Italia, e ancor più in Europa, mentre quelle dei cittadini vengono sempre più apertamente subordinate, quando non calpestate.

IL modo con il quale l'Europa si preoccupa di tutelare gli interessi dei creditori della Grecia, affossando ogni speranza di ripresa del paese e incurante delle sofferenze inflitte alla popolazione, è.. non trovo parole adeguate..

E’ naturale che la società civile in tutti i paesi stia maturando una avversione crescente verso tutto ciò che riguarda l’economia, la finanza, il sistema bancario. E verso le Istituzioni che le rappresentano.

Incredibilmente, nessuna proposta arriva dalla politica per porre un freno allo strapotere della finanza.

Che sia la società civile, allora, a reclamare a gran voce gli interventi necessari.

Prima che sia troppo tardi.

 Guido Grossi 

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